Giulia Sabbadini, visual coach e formatrice, ci parla del pensiero visuale, con una premessa fondamentale sullo scarabocchio e l’arte dello scarabocchiare, il punto di inizio del percorso visuale

Ti sarà capitato di parlare di fronte ad un gruppo di persone e notare alcune di esse impegnate a fare ghirigori e disegnetti, e di pensare che forse potevano ascoltare con attenzione invece di distrarsi con fiorellini, intrecci di linee e improbabili omini… un esempio di distrazione così lampante non è esattamente un pieno di autostima per un oratore!
Il dedicarsi a scarabocchi e ghirigori durante l’ascolto è generalmente interpretato come un segnale di noia e dissociazione e c’è un po’ di verità in questo.
Anche se ci sono numerose testimonianze in difesa del ghirigoro, l’esigenza di scarabocchiare il foglio non nasce se siamo presi e coinvolti dall’oratore, rapiti dalle sue parole.
Quindi, se mentre parli qualcuno scarabocchia, può esserci della noia (capita), ma non è detto che lo scenario sia del tutto negativo… dipende.
In difesa dello scarabocchio, un team di psicologi ha condotto un esperimento e raggiunto la conclusione che scarabocchiare distrattamente mentre si è impegnati nell’ascolto aiuta a ricordare i dettagli del discorso, fino al 29% in più rispetto a chi non scarabocchia.
Quindi, ghirigoro sì, se l’alternativa è la completa astrazione dal contesto e dall’evento verso fantasticherie e pensieri in libertà. In una scala da 1 a 10, e mettendo a livello zero chi dorme veramente, lo scarabocchiatore è presumibilmente a un livello 3 e questo può aiutarti a guardarlo con maggiore apprezzamento e tolleranza.
Almeno fa di tutto per rimanere presente, e parte del suo cervello sta ascoltando. Coloro che ti guardano con occhi sgranati e fissi ti danno forse più soddisfazione ma potrebbero essere completamente estraniati!
Se, mentre parlate, chi vi ascolta traduce in linguaggio visuale quello che state dicendo, in teoria scarabocchiando, in pratica traducendo quanto ascolta in forma spaziale e sintetica… ecco, quella persona vi sta ascoltando con tutte le sue forze, usando varie parti del cervello.
Il risultato potrebbe non essere condiviso, potrebbe avere un senso solo per chi l’ha prodotto… Si tratterà in ogni caso di una forma di appunto visuale, detto anche info-doodle o sketch-noting di alto valore per fissare e conservare i contenuti nel tempo.
Negli incontri sul pensiero visuale, cosa accade quindi?
Il percorso sul linguaggio visuale è un percorso formativo in cui insegno alle persone a esprimersi in maniera visuale. I partecipanti devono prendere la matita in mano e usarla tanto, ma non con disegni pittorici. Sono schemi, mappe, grafici… tutto quello che serve per mettere su carta le proprie idee e progetti e anche per condividerli con le altre persone.
Che strumenti utilizzate per fare questo?
Il mio strumento preferito è la matita perché si può cancellare. Io lavoro con matita e gomma, la possibilità di sbagliare, cancellare e riprovare fa parte integrante dell’imparare. È un modo per essere più gentili con se stessi permettendosi di fare anche errori grossolani e dandosi la possibilità di rifare e riprovarci.
Il fatto di gestire uno strumento fisico, con la mano e di gestire il movimento riuscendo a trasferire la nostra immaginazione sul foglio è qualcosa di molto importante e che piace al nostro cervello. È un qualcosa che da molta soddisfazione.
Il rapporto con i partecipanti com’è, cosa succede?
Scatta l’empatia, che è molto importante e succede, è legato allo stare con la persona. Ci permette di creare un rapporto e di avere fiducia. Di abbattere alcune barriere di imbarazzo e paura del giudizio.
Quali sono i punti di forza di questa esperienza?
Il punto di forza dell’esperienza formativa è di imparare uno strumento, un linguaggio per esprimersi. Un modo diverso per raccontare se stessi e il proprio lavoro integrandolo con la parola. Puoi decidere quando usarlo e se usarlo, entra nelle tue competenze.
Cosa ti stimola in queste attività?
Sicuramente è stimolante avere a che fare con le persone, confrontarmi. Dare tempo e spazio alle persone per farle stare meglio. Per gli altri avere a che fare con una persona terza aiuta ad essere meno bloccati, a lasciarsi andare di più e a porsi in ascolto.
Tratto da: visualcoach.it